Il Comune di Roma possiede il 51% di Acea, società quotata che gestisce il business dell’acqua e dell’energia, con 9 milioni di utenti. Un emendamento al Decreto Legge sugli enti locali obbligava il Comune a “dismettere ulteriori quote di società quotate in Borsa limitandosi a mantenere la quota di controllo” (quindi, il 30%). Col parere favorevole della maggioranza, in Senato la norma è stata cancellata: il Comune, che nel 2013 ha un “rosso” di 816 milioni (coperto da un “coacervo” di poderose coperture statali assai discutibili, e senza aumenti di tasse locali: paga la periferia nazionale), potrà continuare ad essere azionista di assoluta maggioranza e nel contempo allungare la mano per chiedere, e ricevere, ulteriori aiuti pubblici: il sindaco pro-tempore ha tuonato contro la riduzione dei trasferimenti ai comuni; ma si guarda bene dal mettere in vendita una quota azionaria del 20% di una società che capitalizza 1.774 milioni: 350 milioni forse non sono sufficienti a salvare Roma, certo farebbero comodo.