Con il disegno di legge sulla “Web Tax” non solo il governo ha inciso su aspetti fiscali non secondari (chi compra online deve rivolgersi ad aziende con partita Iva italiana), ma ha aperto fronti di disputa legale non indifferenti: centri media ed intermediari che acquistano pubblicità online non sanno in che modo regolare in modo legale gli acquisti fra loro; la norma si applica solo alla pubblicità visibile sul territorio italiano, ma nell’era di internet i confini non esistono più: come evitare che utenti che si collegano da una postazione estera non “vedano” la pubblicità su siti gestiti da “providers” italiani? Norme scritte secondo criteri accettabili nell’era pre-internet che dimostrano ampia fallacia nel nuovo “paradigma”. Alcuni operatori stanno pensando di chiedere ad intermediari esteri di acquistare pubblicità per conto, facendo attenzione a fatturare il servizio come consulenza e non come intermediazione pubblicitaria. Anche il previsto aumento dell’ “equo compenso” (sino al 500%, con previsione di gettito di 300 milioni) sui diritti d’autore per i dispositivi elettronici avrà l’effetto di limitare la circolazione di idee, informazioni, a danno dei consumatori. Sempre i primi a disincentivare nuove imprese, nuove attività, nuove ricadute tecnologiche.
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