L’annuncio è tutto politico: entro il 2030 nella UE le emissioni di CO2 dovranno calare del 40% e le fonti da energia “verde” dovranno rappresentare il 27% del totale; obiettivi ambiziosi, che superano quelli del 20/20/20 (meno 20% di CO2 entro il 2020, e 20% da energia “verde”), che sono a portata di mano; nel caso dell’Italia, la riduzione di CO2 è stata favorita dalla forte riduzione dell’attività industriale, mentre lo sviluppo delle fonti rinnovabili ha goduto di benefici fiscali assai generosi (e superiori a quelli in vigore altrove). La UE gioca da sola la partita, poiché tutti gli altri paesi non la seguiranno; ed è una partita difficile, sul fronte dell’industria: come coniugare riduzione di CO2 con la presenza, e se possibile il recupero, dell’industria manifatturiera in paesi a forte tradizione industriale? Perché ridurre le emissioni di CO2 costa, secondo Confindustria, il 15-20% in più sulla bolletta elettrica, già più cara rispetto ai 28 paesi UE: l’Italia è al 24esimo posto per livello di costo. La UE pensa ad un grande piano di reindustrializzazione di 38 miliardi di euro per riportare al 20% la quota di dell’industria sul PIL entro 6 anni. Manca il “come”, e soprattutto manca la chiara volontà che la UE diventi il “benchmark”, o “standard”, in questo campo, a cui tutti gli altri paesi debbono adeguarsi (Cina, USA, Giappone, India, Brasile, solo per restare fra quelli a forte vocazione industriale); diversamente, sarà un rapido, inevitabile “declino”, assai doloroso. I segnali non sembrano favorevoli per l’industria italiana: la UE pensa all’estrazione di gas estratto da scisto con tecnologia “fracking”, ma non alla geotermia (settore in cui l’Italia ha forti tecnologie); la UE riduce dal 10% al 6% la quantità di biocarburanti da miscelare con benzina e gasolio senza promuovere i carburanti di nuova generazione in cui l’Italia ha eccellenti competenze e tecnologie; la UE fissa quote di energie rinnovabili senza includervi il solare termodinamico, dove l’Italia vanta esperienze e tecnologie superiori. L’industria italiana è forse troppo spesso “piagnona”; se ha energia, la sprigioni, e ne faccia uso sapiente ma fermo con governo nazionale (al suo interno purtroppo diviso fra Ambiente e MISE) ed UE.