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Anagrafe dei Rapporti Bancari: danno e beffa

Ridiamo tutti pensando anche ai costi sostenuti dagli Intermediari per gestire questa robaccia.
Dal Sole24Ore di oggi © RIPRODUZIONE RISERVATA Gianni Trovati
Corte dei conti: rimane un flop l’anagrafe dei rapporti bancari
Proprio nel giorno in cui il governo lancia obiettivi anti-evasione più “ambiziosi” anche di quelli scritti nei documenti ufficiali, arriva il controcanto dei magistrati contabili. Sull’anagrafe dei rapporti finanziari, scrive la sezione centrale di controllo della Corte dei conti, «si deve rilevare una grave inadempienza dell’agenzia delle Entrate», che in pratica non ha mai davvero fatto partire lo strumento con cui avrebbe dovuto individuare i contribuenti più a rischio evasione andando a spulciare i loro conti correnti.
Sotto l’esame della sezione, non nuova a critiche puntute nei confronti dell’amministrazione finanziaria, è finita un’arma anti-evasione che ha una storia lunga, ha scatenato dibattiti intensi nel filone infinito delle polemiche sul «grande fratello fiscale», ma ha finora giocato un ruolo effettivo decisamente più marginale del previsto. Da qui deve ripartire la nuova agenzia delle Entrate-Riscossione, che nelle strategie definite da Ernesto Ruffini punta proprio su un rinnovato utilizzo delle banche dati per aumentare l’efficienza di controlli e riscossione e limitarne gli effetti collaterali (a partire dai pignoramenti che cadono in contenzioso).
Prevista dal 1991, avviata nel 2006 e utilizzabile dal 2009, l’anagrafe dei rapporti finanziari ha conosciuto una nuova fortuna a fine 2011. Con lo spread alle stelle, il debito pubblico italiano sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo e il governo Monti appena insediato, il ricco capitolo fiscale del decreto «salva-Italia» non si era scordato il rilancio di quello che avrebbe dovuto rappresentare uno dei pilastri dell’anti-evasione tramite banche dati. L’Agenzia, spiega l’articolo 11, comma 4 del Dl 201/2011, avrebbe dovuto utilizzare il censimento telematico dei rapporti finanziari per disegnare gli identikit degli italiani più a rischio evasione, e stilare le «liste selettive» dei contribuenti che a quell’immagine fossero più vicini. Una volta definito il campo, i controlli avrebbero dovuto offrire risultati di peso, da dettagliare in una relazione annuale al Parlamento.
Alle Camere non è arrivata alcuna relazione, perché le liste selettive non sono state composte, i criteri per individuarle non sono stati fissati e in sostanza la macchina congegnata dal decreto anti-crisi non è mai partita. Per la Corte il difetto è nel manico, cioè «nell’approccio dell’Agenzia all’elaborazione delle liste», che agli occhi della Corte dei conti appare «in palese contraddizione con la ratio della norma». Il problema, sostengono i magistrati, è che il database contiene l’anagrafica e la storia dei rapporti finanziari (tipologia, date di apertura e chiusura, modifiche in corso d’opera) ma ne trascura il cuore: i saldi e le movimentazioni. Risalendo nella catena delle cause, quindi, la scarsa fortuna operativa dell’anagrafe nasce dal fatto che così non funziona.
Si spiegano anche in questo modo i numeri ultra-leggeri delle indagini finanziarie, che nel 2016 hanno spulciato i conti correnti di solo 5.200 italiani (si veda il Sole 24 Ore del 6 agosto). Una sorte analoga a quella vissuta da un altro classico del dibattito fiscale, il redditometro: rilanciato in grande stile nel 2010, oggetto di miriadi di convegni e approfondimenti, l’anno scorso ha guidato 2.812 accertamenti. Meno di una goccia nel mare dell’evasione.

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